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L’italiano e il libro: il mondo fra le righe

"Sao ke kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti" ci suona oggi come una frase in un italiano strano, ai più intraducibile, scorretto, inesatto, antichissimo, vetusto. Insomma, potremmo dire, che questo non è italiano. In effetti tale affermazione sembrerebbe parzialmente vera. Ma non del tutto. Seppure, infatti, non possiamo ancora parlare di “italiano” come lo intendiamo oggi, non ancora nel 960 d.C. – anno di attestazione di questa iscrizione – dobbiamo, tuttavia, segnalare l’importanza che queste strane parole hanno assunto nel corso dei secoli.

Il Placito Capuano: una svolta linguistica

Si tratta del Placito Capuano, uno dei più antichi documenti in volgare italiano. Esso testimonia l'inizio del passaggio dal latino classico alla lingua volgare, antenato dell'italiano moderno. Nello specifico ci troviamo davanti a un documento legale che si proponeva di sciogliere una disputa terriera. Le parti coinvolte erano l’abbazia di Montecassino e un proprietario terriero locale.

Dalla traduzione alla nascita di una nuova lingua

"So che quelle terre, entro quei confini qui descritti, la parte di San Benedetto le possedette per trent'anni", così è come noi oggi esemplificheremmo questa iscrizione. Il fatto che ci interessa, però, è che l’iscrizione del nostro incipit non è più latino e non è ancora italiano.

La diffusione del volgare

Si stava diffondendo, almeno per quanto riguarda i documenti ufficiali come quelli di tipo giudiziario, una lingua nuova, il volgare appunto. Ma qui arriva il centro della vicenda: il Placito Capuano è un documento ufficiale, e come tale – è lecito crederlo – redatto da chi, di lingua, doveva intendersene. Fu nella società del tempo, però, che si stava facendo spazio spinta fortissima, recalcitrante e al tempo stessa parallela a questa più dotta. Una linea ufficiosa ma importantissima che favorì più di ogni altra la diffusione dell’italiano come lo conosciamo oggi (o quasi).

Il ruolo dei mercanti nella diffusione della lingua

Fu merito dei mercanti che, durante il Medioevo prima e il Rinascimento poi, non ebbero solo il merito di trasportare prodotti e mercanzie da Nord a Sud dell’Italia, ma anche quello di portare con questi una lingua nuova, la lingua del popolo, il volgare (vulgus, in latino, significa proprio “popolo”). Una lingua comune, ma non ancora puramente italiana, nacque così: per necessità, per “portare il pane a casa”, per farsi capire.

Le città di mare come centri di scambio culturale

Terreno fertile furono le città di mare, nelle quali i porti diventavano luogo di scambio di merci e parole, di cibi e strutture linguistiche comuni. E tra le rotte e le righe delle parole cominciava a farsi strada un nuovo mondo che, solo molti anni dopo e grazie alla fatica di Manzoni, si consolidò nell’italiano che noi oggi parliamo e studiamo.

La lingua come rete sociale e culturale

La lingua ha sempre fatto questo: ha creato una rete, ha stretto contatti, ha ridefinito e tutt’oggi ridefinisce la geografia politica e sociale del mondo. La lingua è capace di creare una nuova teoria della tettonica a placche: unisce continenti lontani, dà vita a nuovi pensieri, crea nuove sfumature di colori e nuove intensità di odori e sapori. Tutto questo non sarebbe possibile senza il supporto materiale del libro.

Il contributo di Gutenberg alla diffusione della lingua

E Gutenberg, che della stampa a caratteri mobili fu l’inventore, sarebbe ben contento di vedere, oggi, quanto mobili siano quei caratteri. Non hanno confini, come la letteratura. Lo sappiamo bene anche noi: sono le parole della lingua italiana che ogni anno, ogni giorno, fanno confluire qui alla Dilit dei nuovi “mercanti” dei giorni nostri che ci aiutano nell’arduo compito di diffondere l’italiano nel mondo.

La diffusione della lingua italiana nel mondo

Sì, noi ce la mettiamo tutta, ma la spinta iniziale, quella soltanto, parte da noi. Succede come con un sasso che, lanciato nell’acqua crea una serie di cerchi concentrici che si allargano, e si allargano, e si allargano. Alla fine quel sasso non è più solo un sasso, ma è qualcosa di più, in grado di arrivare ovunque e di creare qualcosa di immenso.

La forza creatrice dell'italiano

Anche la lingua italiana, qui, assume una forza creatrice potenziale e, poi, effettiva (e perché no, affettiva). L’italiano insomma è uno, ma i modi di farlo diventano tanti. E non importa più se quello del Placito Capuano sembra un non-italiano, perché per noi tutto ciò che viene prodotto è un’opera d’arte, meritevole di essere un sassolino nel mare, la cui forza motrice arriva lontanissimo.

L'importanza del libro e della scuola

L’italiano è tra le righe e le righe possiamo disegnarle noi, e un libro riscriverlo. È proprio qui che passa il mondo, tra le ringhiere verticali di una scuola, dove l’anima trova una sosta. Nessun contenzioso con proprietari terrieri perché qui funziona come con la letteratura: se leggi un libro scegli tu da che parte stare e crei da solo la tua storia.

Il viaggio attraverso la grammatica italiana

Sì è vero; dovrai passare sull’isola del congiuntivo, valicare il ponte dei pronomi, e ti sembrerà di naufragare nel mare magnum dei verbi irregolari. Eppure, come disse uno che l’italiano lo sapeva bene “Il naufragar m’è dolce in questo mare".

Martina D’Errico 

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