Facciamo due conti.
Quando portiamo a casa una confezione di sei bottiglie di acqua minerale da un litro e mezzo portiamo a casa 9 litri di acqua. Per comodità di calcolo prendiamo una persona che consuma la nostra confezione in una settimana (sì, d’accordo, è poco, bisogna bere almeno…etc.etc.. ma il nostro amico beve poco…serve per agevolare il calcolo…). In 166 settimane, cioè tre anni, il nostro amico poco salutista berrà 9000 litri di acqua.
È mediamente la quantità di acqua necessaria per produrre un paio di jeans (sì, uno!). Se stiamo pensando al numero di jeans che abbiamo comprato o che abbiamo nell’armadio e se la parte ecologica della nostra coscienza ci sta spingendo a fare promesse magari difficili da mantenere nel prossimo periodo di saldi, vale la pena approfondire la questione.
Per il 2023 si prevede che saranno prodotti 2 miliardi di jeans all’anno.
Un immenso fabbisogno di acqua, che aumenterà il problema della penuria d’acqua in quelle parti del mondo dove si producono i jeans. Tanto per avere un’idea: circa 50 anni fa c’era un bel lago tra il Kazakistan e l’Uzbekistan, due repubbliche dell’Unione Sovietica. Si chiamava Aral e a volte lo chiamavano Mare di Aran, per la sua acqua salata e per la sua dimensione. Hanno deviato i fiumi affluenti del lago per irrigare enormi coltivazioni intensive di cotone e hanno praticamente prosciugato il lago, creando un deserto.
Se la vocina ecologica della nostra coscienza è ancora troppo flebile ci sono altri dati che possono indurre a guardare i nostri jeans con occhi diversi.
Il cotone che si usa per i jeans deve essere colorato e dunque via libera a coloranti sintetici e metalli pesanti, tutte sostanze altamente inquinanti.
I jeans alla moda sono scoloriti e si usava (si usa?) la tecnica della sabbiatura per ottenere quella colorazione sbiadita che dà l’aria vissuta al nostro jeans. La sabbiatura consiste nello spruzzare sabbia silicea sul tessuto. La sabbia silicea spruzzata rilascia polveri dannose sia all’ambiente che all’uomo. In Europa è in vigore una normativa a tutela della salute dei lavoratori che prevede dispositivi di sicurezza che somigliano molto ai dispositivi in uso per proteggersi dal coronavirus.
In Europa.
Ma una grandissima parte della produzione dei jeans è localizzata in parti del mondo dove la tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori non occupano le prime posizioni delle priorità delle aziende.
Uno stilista di un’azienda americana di jeans ha detto in un’intervista: “..i jeans che costano meno di 20 dollari (cioè 18 euro) non sono stati realizzati in modo etico, a meno che il negozio non li venda in perdita.”
Negli ultimi tempi una risvegliata e generale coscienza ecologica ha messo in guardia le aziende produttrici dal persistere in una produzione che comporta un altissimo prezzo in termini di disastri ambientali e danni sempre più evidenti alla salute dei lavoratori. Assistiamo pertanto ad un’operazione di rinnovamento dei processi produttivi da parte delle aziende, che investono finalmente per rendere ecosostenibile la produzione dei jeans.
Ci sono aziende che hanno già raggiunto obiettivi ragguardevoli. Hanno abbattuto drasticamente il consumo dell’acqua per lavare i jeans sviluppando tecniche di riciclaggio dell’acqua usata. Hanno minimizzato l’uso di sostanze chimiche per colorare il cotone, trovando sostanze naturale che possono avere la stessa funzioni. C’è un forte impulso alla ricerca di fibre meno costose del cotone che si possono ottenere dal riciclaggio di alcuni materiali (per esempio le bottiglie di plastica). Si coltivano già nuove piante di cotone, un cotone biologico più sostenibile e meno costoso. Sono sempre più numerose le aziende che si dedicano al riciclaggio dei jeans usati, reimmettendo nel mercato una grande quantità di tessuto che nel passato andava perduta e per di più inquinava ulteriormente.
Ovviamente un paio di jeans prodotto con rigidi criteri ecosostenibili ha ancora un prezzo al di sopra della media. Ma presto i prezzi caleranno e il prodotto sarà più accessibile a quei consumatori sempre più attenti e consapevoli dei benefici sociali e ambientali che questa nuova economia potrà realizzare.
di Pietro Catizone
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